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La storia di Carlotta e
i condizionamenti

La storia di Carlotta e i condizionamenti

Com'è andata a finire la storia di Carlotta

Parecchi, dopo aver letto il mio libro “L’uso terapeutico dell’ipnosi regressiva“, mi hanno chiesto come è andata a finire la storia di Carlotta. Quando ne parlai, proprio all’ultimo capitolo del libro, avevo incontrato Carlotta solo per la consulenza iniziale; dunque non avrei potuto scrivere la vicenda nella sua interezza.
Sono passati alcuni anni e la terapia con quella bella ragazza di 27 anni è finita da un pezzo. Eccomi qui dunque a soddisfare la curiosità dei lettori.
Carlotta mi fu inviata da una sua amica che, anni addietro era stata mia paziente. La ragazza era già in cura presso un ospedale romano ma senza successo. Interrogandola poi, mi ero accorta che non le era stata fornita alcuna spiegazione sul suo malessere, nessuna diagnosi se non una generica depressione, nessun progetto terapeutico se non dosi massicce di psicofarmaci. Due anni prima, in una gelateria con le amiche, in uno spensierato pomeriggio estivo, Carlotta aveva avvertito un senso di vuoto improvviso, uno smarrimento abissale, che si era tradotto in un pianto ininterrotto tale, da essere portata in un pronto soccorso.

Adesso me la trovavo davanti, alta, davvero bella, ma assolutamente spenta, come se mi dicesse:
tanto ormai…

Il nostro viaggio insieme è durato meno di un anno, ma è stato impegnativo e denso di cambiamenti. Poi abbiamo continuato a vederci ad intervalli sempre più grandi, finché, dopo parecchi mesi di silenzio, Carlotta mi chiama per annunciarmi che ha cambiato lavoro, è andata a vivere col suo ragazzo e fanno progetti di vita insieme. La voce è squillante, trasmette tutto l’entusiasmo di una giovane che ha imboccato finalmente la sua strada.

Ma perché la ragazza ha avuto quella dolorosa crisi? Nella storia della sua famiglia non vi è nulla di particolarmente traumatizzante, non vi è mancanza d’amore. E’ una famiglia come tante altre che però,come tante altre, nutre i suoi figli con condizionamenti e aspettative, non esplicitate ma presenti nella trama dei legami d’amore.

I condizionamenti sono una prigione nella quale ci chiudono da piccoli e che spesso, una volta divenuti adulti, non riconosciamo come tale. I condizionamenti sono le sbarre che, nella nostra mente, segnano confini e limiti invalicabili. Quanto più i condizionamenti sono precoci, tanto più sono profondamente incastonati dentro di noi, tanto meno ne avvertiamo la presenza. Stiamo solo male, ma non sappiamo perché. Come è successo a Carlotta.

Provate a pensare quanti – non si fa..non debbo…vorrei, ma….- ci diciamo da sempre. Quante scelte compiamo in virtù non di ciò che ci dice il cuore, bensì in aderenza ai dettami delle leggi non scritte trasmessoci dalla famiglia o dalla società. Quando queste leggi le mettiamo in discussione veniamo sanzionati, puniti o rifiutati.

Ultimamente, non credo al caso, sto lavorando con sempre più clienti alle prese con i condizionamenti. Alessandra, una donna di 34 anni, ha gli attacchi di panico. Motivo scatenante? I condizionamenti. Ha scelto un ordine di studi che avrebbe fatto piacere al padre, è andata a lavorare presso di lui; d’altronde una fiorente azienda di famiglia è troppo importante per non seguirla! Anche l’abitazione, scelta da Alessandra dopo il suo matrimonio, si trova vicinissimo all’azienda e ai genitori e non è la villetta fuori città che sognava da ragazza. Nessuno ha chiesto alla donna cosa avrebbe voluto fare ed essere. Il dramma è che non se lo è chiesto nemmeno lei! Per soddisfare la curiosità di chi legge, Alessandra avrebbe voluto…creare cappelli e dedicarsi alla moda! Ma lei stessa non aveva mai preso in considerazione questa passione coltivata da sempre, come una legittima opzione di scelta di vita. La aveva relegata al posto di hobby e dedicato sempre meno tempo.

Oppure Alessio, il cui sogno di fare il meccanico di auto da corsa, non è stato nemmeno considerato dal padre architetto. Solo dopo la terza bocciatura al liceo classico e una ramanzina energica da parte dei docenti, il padre si è deciso a lasciare il figlio libero di seguire il cuore. Per la cronaca: sto aiutando il padre, non il ragazzo. L’uomo si è reso conto che anche a lui è capitata la stessa cosa: sogno giovanile? Reportage giornalistici da tutto il mondo, nessuna famiglia o residenza fissa. Sarà un caso che nella vita costruisce case per gli altri?

Esistono condizionamenti di natura ancora più sottile. Per esempio quelli legati al genere maschile e femminile. Quante donne non si valorizzano solo perché l’educazione ricevuta in famiglia le ha sempre relegate in ruoli restrittivi. Quanti uomini non esprimono sentimenti anche legittimi solo perché darebbero un’immagine di fragilità.

Valerio, un robusto signore di 48 anni, mi cerca perché non riesce ad impedirsi le quotidiane abbuffate al bar dell’ufficio. In famiglia invece, (è sposato e ha due figli), Valerio è l’uomo misurato ed equilibrato che tutti conoscono. Come se concedesse a se stesso un unico spazio di trasgressione, nascosto agli occhi di amici e parenti. Insieme scopriamo che, quando Valerio aveva 12 anni, perse tragicamente in un incidente, la madre e il fratello maggiore di due anni. Il padre impose, a quell’unico figlio superstite, la negazione dell’espressione del dolore, per dare a tutti l’immagine di una compostezza coraggiosa e dignitosa, ben lontana dalla tempesta emotiva che si era scatenata dentro al ragazzino. Abbiamo anche capito il perché di questa innaturale decisione: il padre di Valerio era figlio di un uomo noto per il carattere impulsivo e irascibile, che spesso si esprimeva in teatrali quanto devastanti attacchi di collera in pubblico. Cosa che spaventava e umiliava molto, la moglie e i tre figli. Da adulto quindi il padre di Valerio era stato un uomo iper controllato e introverso. Ed il figlio era stato condizionato a non esprimere manifestamente alcun tipo di sentimenti.

Qualcosa di simile è successo anche a me quando avevo 18 anni: tornavo a casa da scuola e all’improvviso un giovane, rivelatosi in seguito un tossicodipendente, si avvicina e con mossa fulminea mi strappa la catenina che imprudentemente avevo al collo, principiando poi a correre giù per la strada. Sapete cosa ho fatto io? Niente. La mia testa ha pensato: è maleducazione per una signora urlare e correre scompostamente per la strada. ( Ho ricevuto un’educazione un po’…ottocentesca, di cui solo oggi apprezzo tutto il suo valore). Comunque me ne stavo lì, imbambolata, mentre il ragazzo correva. Per fortuna aveva assistito alla scena una robusta signora sulla cinquantina, carica di buste della spesa e sopratutto libera dai miei condizionamenti, la quale si mise a strillare al posto mio con notevole potenza polmonare per poi girarsi a guardarmi dicendomi, con soave grazia e in stretto dialetto siciliano: – Ma chi si, scimunita?- ossia -ma chi sei, una stupida?- Mi ci sono sentita.

 

di Roberta Sava

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